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Il digitale non riguarda solo la comunicazione

Bisogna iniziare a pensare che il digitale non è solo un qualcosa che riguarda la comunicazione.

Le aziende italiane per anni hanno pensato che fosse una sorta di tecnologia plus a integrazione della comunicazione tradizionale. Questa visione sbagliata ha fatto perdere loro grandi occasioni e soprattutto terreno rispetto ai propri competitor degli altri paesi europei. Non si sono accorte che stava nascendo un nuovo ambiente in cui avrebbero dovuto incontrare il loro cliente del futuro. 

Il secondo errore commesso è stato quello di pensare che l’ambiente digitale e quello fisico fossero due spazi diversi e separati. L’onlife, introdotto dallo studioso Floridi, fa parte dell’infosfera in cui aziende e consumatori convivono e interagiscono con nuove regole. Lo sviluppo delle piattaforme sempre più parte delle vite di tutti noi generano polarizzazione nel mercato rendendo più informato chi lo era già prima e sempre meno informato chi lo era poco già in passato. Una polarizzazione non risolvibile dal mercato ma da interventi sociali orientati alla corretta formazione culturale e etica delle persone che vivono in una nuova quotidianità caratterizzata da tecnologia e ambiente. Alla luce di quest’ultima considerazione è fondamentale la consapevolezza che la transizione ecologica e quella energica non sono semplicemente gemelle, come le definisce la Commissione europea, ma due elementi sinergici e interagenti dell’infosfera ovvero di quel nuovo e unico ambiente che costituisce la nuova realtà fatta di digitale e di mondo fisico. Il mercato è sicuramente il motore della trasformazione ma, come hanno dimostrato la pandemia e la guerra russa-ucraina, come sostiene sempre il professor Floridi, è la società e gli eventi che influenzano le direzioni che poi vengono scelte. 

Anche il ruolo dell’imprenditore è ormai cambiato in modo irreversibile.
In passato la sua capacità di successo era associata al suo istinto innato e difficilmente tramandabile. Lo stesso discorso riguardava i pubblicitari degli anni Settanta che erano in grado di vedere ciò che gli altri neanche avrebbero mai immaginato determinando così il successo commerciale di una determinata azienda.
Abbiamo visto che con il passare del tempo tutto è cambiato. L’egemonia del talento e dell’intuito ha progressivamente lasciato il passo alle decisioni prese sulla base del riscontro proveniente dai dati.
Il consumatore è diventato un soggetto iper-informato grazie a una quantità di informazioni sempre più elevata che influenzano il suo rapporto con il brand.
Un mare di dati che non possono più essere gestiti con il semplice intuito dell’imprenditore vecchio stile o del marketing tradizionale. È necessaria una capacità di elaborazione che la capacità umana non ha e non potrà mai avere.

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